venerdì 13 settembre 2024

Il nostro successo si chiama Prospettiva

Ci capita talvolta, nella vita, di parlare o di interrogarci sulla nostra o altrui prospettiva. Ma cosa rappresenta per noi esseri umani questo concetto? Di sicuro è qualcosa che ci differenzia da ogni altro essere vivente, e potremmo definirlo come la capacità di vedere il mondo con i nostri occhi, la possibilità di fare tutte le cose nuove secondo la nostra visione.

Il fatto è che molte persone hanno una visione triste o minimalista della vita perché la guardano da un’angolatura negativa: continuano a pensare ai loro errori, parlano dei loro tentativi falliti e della loro situazione negativa, senza mai imparare, come se fosse un’eterna condanna. A volte criticano la vita delle altre persone, ma nemmeno loro fanno qualcosa di diverso rispetto a quello che censurano. Quasi sempre rinunciano al cambiamento, che percepiscono piuttosto come una minaccia anziché come un'opportunità. Altri si limitano ad osservare il mondo e ad immaginare quello che farebbero, immaginano solamente il successo, il che non sarebbe male se il successo non restasse solo frutto della fantasia.

Gli ostacoli, nella vita, sono sempre dietro l'angolo e, come si dice, nessun marinaio diventa esperto in acque tranquille

Quando le cose si fanno difficili, siamo inclini a vedere il mondo come una cospirazione contro noi stessi, niente intorno si avvicina al successo, e così ci arrendiamo dicendo che niente nella vita va per il verso giusto. Oppure, diremo che vogliamo raggiungere i nostri obiettivi, ma poi lo vogliamo solo a metà, non così tanto da come invece vogliamo lamentarci, essere depressi o aver paura. Questa non è una prospettiva sana e non implica il fare qualcosa nella direzione dei propri sogni. Perché se non si fa nulla, i sogni si allontanano.

Per buona parte della vita cerchiamo di raggiungere i nostri sogni, di essere felici ed è vero che spesso è difficile andare avanti, ma bisogna sempre mantenere una prospettiva positiva. Continuate ad immaginare, continuate a vivere, continuate a pensare che forse non avrete ancora raggiunto il vostro obiettivo, ma succederà, osservate il mondo da un altro angolo. È importante che abbiate fede in voi stessi, che siate capaci di vedere e di credere anche quando tutto intorno a voi vi dirà il contrario. Se le cose peggiorano, se vi sentite finiti e volete arrendervi, aggrappatevi alla vostra volontà ed immaginate che un giorno sarà tutto diverso. Così, se vi capita di fallire, riprovateci ancora e ancora, imparate dai vostri errori e tentate ogni volta che sia necessario.

Tutto può cominciare con una nuova prospettiva. Ad esempio, se avete una bottiglia d’acqua e la svuotate, ci mettete dentro dei sassolini e la agitate, ecco che avrete creato uno strumento musicale. Se invece dell’acqua, mettete caffè, avrete una bottiglia di caffè. Se la riempite d’acqua e ci mettete un fiore, ecco che avrete un vaso di fiori. Potete trasformare la bottiglia di acqua in ciò che volete e potete fare lo stesso con la vostra vita, potete portarla verso il successo quando volete, potete scegliere di cosa riempirla. Solo coloro che hanno il coraggio di vedere la vita da una nuova prospettiva e di rischiare potranno conoscere il successo. Non hanno importanza i problemi che dovrete attraversare o la situazione in cui vi trovate, se decidete di cambiare, potete farlo, potete essere dove volete, se lo desiderate davvero.

Quando si avverte di essere incapaci di riuscire a fare un passo avanti, aiuta molto usare l’immaginazione, visualizzare il successo che ci sarà dopo la difficoltà, immaginare ciò che si vuole diventare. Provate a visualizzare il vostro futuro, a pensare all’enorme quantità di cose che potrete realizzare in futuro, un futuro che inizia adesso! Perché no? Immaginate di essere la persona che volete essere davvero e di raggiungere tutto quello che avete sempre sognato. Prendetevi il tempo necessario e immaginate il vostro futuro. 

Fare sempre le stesse cose e aspettarsi risultati diversi, non funziona. Se siete dove siete, è per le decisioni che avete preso e se volete essere in un altro posto, allora dovete cambiare qualcosa.

E ora, dove volete orientare la vostra bussola?

lunedì 2 settembre 2024

Coaching e Neuroscienze

Il Coaching è quella tecnica che permette di trovare strategie e strumenti, favorire la crescita personale e, proprio come nello sport, raggiungere obiettivi. Uno strumento che si sta diffondendo in tutto il mondo e in molteplici ambiti: personale, sportivo, aziendale e medico. L’obiettivo è tanto semplice quanto attraente: favorire il percorso di un cliente da uno stato attuale ad uno stato desiderato attraverso una serie di colloqui in cui la fanno da padrone ascolto attivo e domande aperte

Il Coaching ha un background squisitamente umanistico. Partendo dalla Maieutica di Socrate, le influenze più importanti sono dovute alla psicologia occidentale, evolutasi in Europa e Nord America attraverso diverse scuole di pensiero, ognuna delle quali ha offerto prospettive uniche su come comprendere e trattare i fenomeni psicologici. Le principali scuole di pensiero, nate tra il secolo XIX e XX, sono:

  1. Strutturalismo: Fondato da Wilhelm Wundt, è considerato il primo approccio sistematico alla psicologia. Il suo scopo era analizzare la struttura della mente attraverso l'introspezione, scomponendo l'esperienza cosciente nei suoi componenti fondamentali.
  2. Funzionalismo: Un movimento sorto in risposta allo strutturalismo, promosso da William James. Questo approccio si focalizzava su come la mente si adatta e funziona per affrontare l'ambiente, piuttosto che sulla sua struttura.
  3. Psicoanalisi: Fondata da Sigmund Freud, questa scuola di pensiero esplora l'inconscio, i sogni, e i meccanismi di difesa. Freud credeva che molti comportamenti e pensieri fossero influenzati da processi inconsci.
  4. Comportamentismo: Promosso da psicologi come John B. Watson e B.F. Skinner, il comportamentismo si concentra sullo studio del comportamento osservabile, rifiutando l'introspezione e l'analisi dei processi mentali interni. È basato sull'idea che il comportamento è una risposta a stimoli ambientali.
  5. Gestalt: Questa scuola di pensiero tedesca, rappresentata da figure come Max Wertheimer, Kurt Koffka, e Wolfgang Köhler, si focalizza sul modo in cui le persone percepiscono e interpretano le informazioni come un tutto, piuttosto che come una somma di parti.
  6. Cognitivismo: Questa scuola di pensiero, che si è sviluppata nel XX secolo, si concentra sui processi mentali come percezione, memoria, e risoluzione dei problemi. Il cognitivismo ha dato origine a molte delle attuali terapie cognitivo-comportamentali.
  7. Umanismo: Questa corrente, rappresentata da psicologi come Carl Rogers e Abraham Maslow, enfatizza l'importanza della crescita personale, dell'autorealizzazione e della capacità dell'individuo di scegliere il proprio destino.
  8. Psicologia positiva: Una corrente più recente, che si concentra sullo studio delle emozioni positive, delle forze personali e delle condizioni che permettono agli individui e alle comunità di prosperare.

Oggi, però, l'avanzare delle ricerche nelle neuroscienze sta mettendo in chiara evidenza le relazioni tra queste e le tecniche del Coaching: per cambiare un comportamento infatti deve cambiare qualcosa nel nostro cervello

Come accade durante la nostra crescita, ciò che impariamo si fissa nei circuiti neuronali. I neuroni, infatti, creano continuamente nuove ramificazioni e moltiplicano i contatti tra loro, mediante quel fenomeno noto con il termine "plasticità": esso si attiva quando impariamo qualcosa di nuovo (o "disimpariamo" qualcosa di già appreso) e mantiene il cervello efficiente. Fa parte di questo filone di teorie la regola di Donald Hebb, la quale sostiene che "se due neuroni connessi tra loro si attivano ripetutamente durante un certo evento, la loro connessione diventa più stabile e l’evento viene ricordato in maniera più efficace". Insomma, se un gruppo di neuroni si attiva ripetutamente si verificano cambiamenti strutturali che li rinforzano e rendono l’apprendimento più facile (neurons that fire together, wire together), che ha il suo cuore nella parola "ripetizione". 

Più connessioni e maggiore flessibilità ci aiutano ad imparare più cose nuove e a mettere in pratica più efficacemente nuove abilità. Dato che il processo di Coaching lavora sull’acquisizione o il recupero di competenze, si intuisce come questo metta in moto un circolo virtuoso cerebrale che è avido di novità. Le nuove connessioni sono stimolate dall’apprendimento di nozioni nuove, dallo sforzo necessario ad applicarle e dalla "pratica deliberata", un processo proposto da Anders Ericsson che prevede un’attività volontaria, continua, che prevede livelli crescenti di difficoltà e che perfeziona la teoria delle 10 mila ore di Herbert Simon. 

Una sorta di allenamento intensivo che evita di sedersi sugli allori e in cui per eccellere bisogna porsi obiettivi sempre più ambiziosi. Insomma, senza sforzo non c’è risultato e, tanto meno, eccellenza. Ecco perché al coachee si sottolinea sin dal primo incontro la necessità che si prenda la responsabilità in prima persona, mentre periodicamente si chiede di valutare il livello di motivazione a perseguire quell’obiettivo

martedì 27 agosto 2024

La cultura degli alibi

Come saremmo, noi esseri umani, se non avessimo mai inventato gli alibi?

La cultura degli alibi è una definizione creata da Julio Velasco, famoso allenatore argentino che - tra i suoi innumerevoli successi - nel 1990 portò la nazionale di pallavolo maschile italiana da fanalino di coda a campione del mondo, e che recentemente ha vinto l'oro olimpico, con la nazionale di pallavolo femminile italiana, a Parigi 2024.

Velasco racconta che, quando prese le redini della nazionale di pallavolo maschile, gli furono fornite dalla federazione e dai responsabili del team, argomentazioni serie ed autorevoli sulla impossibilità di portare la pallavolo ad alti livelli, almeno nel breve periodo. All'epoca, la cultura degli alibi era però molto presente anche all’esterno, nel mondo sportivo. Si analizzava sempre il perché non si possono fare le cose e non com’è la realtà. I cronisti e i critici sportivi azzardavano le ipotesi più assurde per giustificare la nazionale di pallavolo: ”i latini sono creativi ma non si concentrano", "il problema è che si fa poca ginnastica a scuola", "bisogna cambiare le regole del gioco”. Insomma si erano trovate giustificazioni per tutto e per tutti, e ci si era impantanati in una confort zone che non permetteva di vedere la ragione più semplice e scontata della situazione volley in Italia: non si vinceva perché si giocava peggio degli altri ("Mettiamo come ipotesi che il motivo per cui perdiamo è che non giochiamo bene, che è per questo che perdiamo?").

A questa premessa seguì poi un'altra incredibile rivelazione: Velasco scoprì, in campo, che la squadra non vinceva "per colpa dell’elettricista". Pare un’assurdità ma ogni giocatore giustificava i propri errori dando la colpa a chi gli passava la palla. Quindi gli schiacciatori dicevano che gli alzatori non passavano palle buone, gli alzatori dicevano che i ricevitori non passavano loro palle buone finché il ricevitore (non potendo dare la colpa all’avversario per aver effettuato un'ottima battuta) diceva che a volte i fari del campo gli davano fastidio. Quindi era colpa dell’elettricista! E il circolo degli alibi era chiuso.

Dalla cultura degli alibi Velasco passò subito alle contromisure. Ruppe il flusso di alibi interno al team ("Non parliamo più di quello che fanno gli altri") e stimolò i giocatori all'azione ("Schiacciare su alzate perfette è facile ma correggere una palla imperfetta è da professionista, è da campione"). Quindi chiese a tutti i suoi atleti di non giudicare come giocavano i compagni e di concentrarsi solo sul proprio gioco, sul proprio ruolo, provando a migliorare (per quanto possibile) le qualità in cui già eccellevano, piuttosto che lavorare duro sulle loro debolezze ("Se ciascuno migliora poco, la squadra intera migliora tanto").

Le ragioni

Noi umani, ogni volta che ci sentiamo "accusati" di un errore attiviamo un meccanismo di difesa, perché lo leggiamo come nostra INCAPACITÀ e non come PARTE NATURALE DEL PROCESSO DI APPRENDIMENTO. E non si tratta solo di difendere l'orgoglio: la nostra natura ci spinge a mantenere il minor livello di energia possibile, quindi REAGIRE scaricando il problema risulta molto più efficace che AGIRE per migliorarsi.

L'errore è sano, ed indispensabile per la nostra formazione. Ci poniamo automaticamente dei limiti quando iniziamo a temere l'errore piuttosto che celebrarlo. Provate a pensare ai bambini, non imparano forse dal commettere errori e dall'incoraggiamento che ricevono dagli adulti? Come lo stesso Velasco sottolinea, quando un bambino pronuncia (malissimo) la sua prima parola, non viene forse considerato un genio?

L’alibi è insano, è un pretesto che diventa un argomento di difesa con cui una persona mira a dimostrare di non essere responsabile dell’errore. 

Da tutto questo nasce la cultura degli alibi.

Il cambiamento

Si stava meglio prima, quando tutto andava bene! C’è sempre un sottofondo di nostalgia rispetto al passato e questo perché ci arrabbiamo quando le cose cambiano. La nostalgia è solo la paura di dover cambiare e questo ci porta a ricordare solo le cose belle.

Ma in realtà noi siamo creati per cambiare, quando c’è un ostacolo reale e oggettivo bisogna adattarsi. La nostra evoluzione sta tutta in questa nostra capacità. Per questo dobbiamo promuovere il passaggio dalla cultura degli alibi alla cultura dell’adattamento al cambiamento.

La mentalità vincente

Non si sa bene cosa sia e dove si trovi ma si vede se qualcuno ce l’ha. Secondo Velasco sono tre le componenti che creano una mentalità vincente:

  1. Le capacità interne, le risorse che ho dentro che generano determinazione. Se so chi sono sono spinto ad agire;
  2. Fiducia, contro la voglia di rassegnarsi, sia verso di me ma soprattutto verso gli altri. Il gioco di squadra significa rispettare i ruoli e stabilire come cambiarli (avere un piano B e contare su chi mi sta a fianco). Ma non solo, il gioco di squadra deve convenire a tutti perché conduce alla vittoria e per fare ciò occorre tattica che significa nascondere i propri difetti ed evidenziare quelli dell’avversario;
  3. Orgoglio, voglia di vincere:

    •    VINCERE contro i nostri limiti personali
    •    VINCERE contro le difficoltà quindi imparare ad adattarsi
    •    VINCERE contro l’avversario.

Ma questo significa anche sapere perdere quindi accettare che l’altro abbia fatto meglio di noi e non per questo tornare alla tentazione dell’alibi, altrimenti tutto diventa una bugia.

Conclusioni

A volte siamo attori e a volte siamo spettatori della cultura degli alibi. Resta il fatto che un alibi non ci porta molto lontano.

Tempo fa sentii un’intervista di Simone Moro, uno dei più grandi alpinisti italiani, in cui disse una cosa che mi colpì moltissimo: "L’errore è solo il posticipo del successo". 

Se ci pensiamo bene, l’errore è esattamente questo, apprendere una via migliore per raggiungere i nostri obiettivi. E la paura dell'errore non deve farci rinunciare al gioco, perché in realtà quando giochi non perdi mai. O vinci o impari.

martedì 30 luglio 2024

Leadership, cos'è e come svilupparla

Non è raro che, alla base dell’insoddisfazione delle persone, ci sia una scarsa consapevolezza delle proprie qualità e capacità personali. Alla lunga, ciò determina una situazione di frustrazione e di attribuzione a "fattori esterni" la causa di ciò che capita nella nostra vita. Per questo oggi vorrei parlarti di cosa è la leadership e di come la possiamo sviluppare a livello personale.

Personal Coaching: evitare la trappola del fallimento

Per affrontare il concetto di Personal Coaching, vorrei partire, in questo articolo, da uno dei motivi che porta le persone verso questa specifica declinazione del coaching. E questo motivo è la paura di fallire.

giovedì 25 luglio 2024

Quattro Passi Per Trasformare La Paura Nella Tua Migliore Alleata

In questo articolo, vorrei parlare di come come puoi trasformare la paura nella tua migliore alleata.

Hai mai vissuto l’esperienza di sentirti letteralmente bloccato dalla paura?

Ti è mai successo di avere delle preoccupazioni per qualcosa che dovrà avvenire o per una situazione che dovrai affrontare?

Hai mai avuto paura di non essere all’altezza, di non avere le capacità o di non essere in grado di fare qualcosa?

Magari il tuo lavoro non ti soddisfa veramente, oppure non sei con la persona con cui vorresti essere, o vorresti realizzare il tuo sogno nel cassetto, ma, per paura, desisti dall’affrontare la sfida del cambiamento?

Il nostro successo si chiama Prospettiva

Ci capita talvolta, nella vita, di parlare o di interrogarci sulla nostra o altrui prospettiva . Ma cosa rappresenta per noi esseri umani qu...